Storia della minoranza tedesca in Italia

L’origine storica delle minoranze di lingua tedesca in Italia

Le migrazioni di massa di popoli germanici nella penisola italiana dal V secolo d.C. alla prima metà del secolo X come origine della presenza in Italia di minoranze etniche di lingua tedesca. La scheda proposta rappresenta una sintesi di uno studio di Arturo Galanti.

Indice:

  • Premessa
  • Dall’inizio dell’insediamento germanico al suo affermarsi
  • Il processo di italianizzazione

Premessa

Dal V secolo d.C. i confini settentrionali e orientali dell’Impero Romano sono messi sotto pressione da masse di popolazioni di stirpe germanica, a loro volta minacciate da tribù provenienti dall’Oriente, che abbandonavano le steppe dell’Asia centrale a causa dell’isterilimento dei pascoli prodotto da un mutamento climatico di lungo periodo.

Masse di popolazioni di origine germanica si presentano in Italia a più riprese, prima episodicamente e successivamente, col quinto secolo dopo Cristo, si aprirà l’epoca di sconvolgenti travasi demografici (le c.d. “grandi invasioni barbariche”). E’ un periodo di quattrocento anni, che si aprirà con la calata dei Visigoti di Alarico (400 d.C).

Bisogna comunque precisare che, per quanto le prime invasioni, e specificatamente per quelle avvenute nella prima metà del quinto secolo (fino all’invasione dei Vandali), secondo il Galanti, “non risulta da nessun indizio che una popolazione germanica abbia allora stabilmente occupato un solo angolo di terra italiana” (p.42).

Dall’inizio dell’insediamento germanico al suo affermarsi

Successivamente la situazione cambia. Odoacre depone Romolo Augustolo e, decretando la fine dell’impero romano d’occidente, diventa signore d’Italia. Da tempo l’esercito imperiale era ormai composto da varie etnie barbariche, in maggioranza germaniche, come gli Eruli, i Rugi, gli Sciri, i Turcilingi, gli Alani (p.45). Egli concede quanto da tempo veniva richiesto: la divisione tra di loro della terza parte delle terre della penisola.

Quando nel 493 il re degli Ostrogoti Teodorico subentrò ad Odoacre, praticamente soppiantando le altre presenze etniche, questo diritto passò alla popolazione gota (che comunque non coltivava la terra, essendo ciò prerogativa dei servi).

Altre gruppi etnici, soprattutto germanici, entrano in Italia in quanto contingenti militari degli eserciti impegnati nella guerra tra Ostrogoti e Greci che, guidati da Giustiniano, tentavano ad iniziare dall’anno 535 la riconquista dell’Italia, oppure comunque in conseguenza di questa (com’è il caso dei Franchi, che dal 548 mantennero dei propri presidi nelle zone conquistate).

La “guerra gotica” si conclude nel 553 con la vittoria dei Bizantini, guidati dal generale Narsete; con la sconfitta i Goti perdono il privilegio di disporre di diritto quel terzo delle terre che si erano auto-attribuiti con Teodorico. In conseguenza la popolazione di origine germanica (Ostrogoti, Franchi, Alemanni, ecc.) che cerca di mantenersi indipendente, si rifugia nelle zone montagnose, dove, del resto, fin dall’inizio della guerra con i Bizantini, i Goti avevano attestato la loro linea di difesa proprio sulle alture pre-alpine e sulle pendici delle Alpi, erigendo fortificazioni e castelli.

Nel 568 per i valichi delle Alpi Giulie penetrano in Italia i Longobardi, guidati dal loro re Alboino (il quale trascinava con sé anche altre etnie asservite, quali i Gepidi, i Bulgari, i Sarmati, i Suevi, i Pannoni e i Norici). Nel giro di pochi anni controllarono la gran parte del nord (eccettuata la costa, in mano ancora ai bizantini) e molta parte del centro della penisola.

Anche i Longobardi si appropriano dagli autoctoni inizialmente di un terzo dei frutti della terra e successivamente di un terzo delle terre (che comunque anche loro con coltivano). Quindi sono le altre etnie germaniche subalterne che si possono dedicare alla lavorazione della terra e coloro che erano fuggiti sui monti possono scendere verso valle.

“E’ a questo punto – commenta il Galanti – che anche nelle valli e colline fra l’Adige, il Brenta e i monti Berici, ov’erano accorse pure in buon numero le genti germaniche che avevano seguito i Longobardi, si venne formando fin d’allora un’estesa plaga semi-germanica, dove gli indigeni cedettero in parte il posto ai nuovi coloni di stirpe teutonica, rimanendovi in numero piuttosto scarso e certamente inferiore a quello che sempre rimase, non osteggiato, nelle città e nei borghi più popolosi; il che spiega come durante la dominazione longobarda, e al cessare di essa, nelle città e nei borghi più importanti l’elemento straniero abbia subito senza contrasto la prevalenza dell’indigeno, mentre riuscì a conservarsi nei luoghi, ove per le suddette ragioni si era reso saldo e compatto” (p.76).

Ma quando nel 773, dopo varie ripetute invasioni (come del resto avveniva con Avari e Slavi nei territori orientali dell’arco alpino), le armate franche di Carlomagno conquistarono l’Italia, anche i Longobardi finirono per condividere con i latini la condizioni di servitù; fu allora che si attuò la fusione tra questi e la popolazione autoctona. E’ plausibile che invece altri Longobardi, di fronte alle armate franche (che comunque esercitavano controllo politico / militare ma non erano un nuovo popolo che occupava i territori italici), si rifugiarono invece nelle valli già abitate da popolazioni germaniche, rinforzandone tale carattere tedesco.

Approfittando dell’abbandono al quale la regione alpina era stata lasciata durante la guerra tra Goti ed impero bizantino, la nazione germanica dei Bavari avevano incominciato ad occupare le valli dell’Adige e dell’Isarco (dove forse in precedenza si erano già inseriti nuclei di tribù alemanne), arrivando nell’VIII secolo a raggiungere territori tra Bolzano (città e Val Venosta esclusa) e Trento.

Qui fu invece l’elemento reto – romano (gli odierni Ladini) a rifugiarsi nelle valli più nascoste.

Con l’affacciarsi dell’Impero degli Ottoni verso l’Italia, all’epoca feudale avvennero certo trapianti di nobiltà d’oltralpe, come pure vescovi, signori e altre vicende economico sociali provocarono immigrazioni di minatori (definite però dal Galanti come poche e sporadiche) come di mercanti e di contadini svizzeri e vallesi, in questo caso sul versante occidentale delle Alpi.

Il processo di italianizzazione

Nella prima metà del secolo X avvengono terribili scorrerie di Ungheri in Friuli e Veneto; queste, più altre calamità (come spaventose alluvioni della pianura veneta) verificatesi a partire dal VI secolo, indussero altra popolazione ad abbandonare il piano per le zone montagnose. “Ma – precisa il Galanti – più ancora ve ne spinse indubitabilmente la rivincita dell’elemento indigeno, che nei luoghi più aperti era rimasto mescolato coi Tedeschi e trovava appoggio sulle vicine città. Molti di quei Tedeschi si dovettero allora romanizzare per non trovarsi a disagio là dove abitavano. Si videro invece costretti ad accentrarsi in luoghi incolti, o ad abbandonare definitivamente il piano e le colline e a rinserrarsi nei monti e nelle valli più recondite, acconto ai loro connazionali quivi da più lungo tempo stanziati, tutti quelli che preferirono conservare la propria lingua e i propri costumi. In codeste sedi di difficile accesso si conservò più a lungo l’elemento germanico, finché non fu raggiunto e conquiso anche in esse dall’influenza italica” (p.130).

Questo processo di italianizzazione si diffuse anche all’estero, raggiungendo il clou di tra il XVII e il XVIII secolo, “da penetrare – nota il Galanti – nel cuore dell’Austria e dare alla stessa Innsbruck l’aspetto di città italiana” (p.132). Fin qui arriva l’analisi di Arturo Galati. Noi aggiungiamo alcune considerazioni relative al periodo storico successivo alla pubblicazione del suo studio.

Questa tendenza culturale espansionistica rilevata dal Galanti trovò interpretazione politica, nell’età risorgimentale, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, nel fenomeno politico dell’ìrridentismo. Questo movimento politico si costituì con l’intento di unificare all’Italia le province di Trento e Trieste, che presto assunse caratteri decisamente nazionalisti. Il programma originario del movimento non prevedeva l’annessione del Sud Tirolo, di Fiume e della Dalmazia, che Francia e Inghilterra offrirono all’Italia nel 1915 in contropartita dell’entrata in guerra contro gli imperi dell’Europa centrale. Tutti territori dove certo l’elemento etnico italiano non si poteva considerare come inequivocabilmente maggioritario. Ciò creò le basi del contrasto etnico che diede origine alla questione sud-tirolese, definitivamente risolta solo negli anni ’70 / ’80.

Fonte: ARTURO GALANTI, I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi, Edizioni Taucias Gareida, Verona, 1984 (edizione originale 1882)

Roberto Albanese

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