Educazione alle diversità, minoranze etniche, immigrazione

Minoranze etniche ed educazione alla diversità

Dalla conoscenza del problema, anche dal lato sociologico e politico, all’individuazione di proposte di quadro generale nel quale inserire progetti di educazione alla diversità.

Indice:

  • Premessa
  • Alcuni dati
  • Alle origini del problema
  • Caratteri dell’esclusivismo etnico
  • Alcune proposte generali

Premessa

La condizione di “minoranza” è relativa, basata solamente sul rapporto con un altro gruppo che viene chiamato “maggioranza”.

Il termine etnico appare nel 1787 e prende via via diversi significati: “pagano”, “non civilizzato”, “autoctono”.

Alcuni dati

Nella definizione di minoranza etnica rientrano situazioni storicamente diverse:

gli indigeni (circa 300 milioni di persone);

popoli assimilati con la forza da stati imperialisti (es. Tibet);

nazioni senza stato (es. i 15 milioni di Kurdi divisi tra Turchia, Iran, Irak, Siria. Oggi si contano nel mondo 170 stati sovrani, mentre le lingue sono sicuramente più di 5.000);

gruppi nazionali rientranti in altri stati per ragioni di confine (vedi la situazione centroeuropea derivante dalle frontiere tracciate dopo la prima guerra mondiale sulle ceneri dell’impero asburgico e dell’impero ottomano);

gli immigrati (es. in California la popolazione è formata per il 43% da minoranze etniche – ¼ ispanici e 1/10 asiatici -. Un centinaio di città californiane hanno delle maggioranze di minoranze. Le lingue parlate sono 46.).

Minoranze etniche nell’Unione Europea: il Parlamento Europeo nel 1983 stimava in circa 30 milioni il numero di cittadini della Comunità che hanno come lingua materna una lingua regionale o poco diffusa.

Minoranze etniche più consistenti presenti fuori i confini nazionali in Alpe Adria:

Austria: sloveni; croati; ungheresi.

Croazia: cechi; italiani; ungheresi; rom; ruteni; slovacchi; ucraini.

Slovenia: italiani; ungheresi.

Ungheria: croati; rom.

Spesso la condizione di minoranza etnica coincide con una condizione socio-economica particolarmente svantaggiata, di povertà, di emarginazione, di sradicamento dalla propria terra. Ecco, ad esempio, la situazione degli indiani d’America confrontata con la situazione media del cittadino USA (stime del 1973):

disoccupazione: 46% contro 6,5%;

reddito familiare: 1.500 dollari annui contro 8,500;

educazione secondaria: 16% contro 60%;

limite di vita: 48 anni contro 72.

Alle origini del problema

Oggi il mondo è dominato da un’unica élite di potere (200 società transnazionali esprimono ¼ della produzione mondiale) e da un’ideologia planetaria. Tutto ciò che non si adegua a questa ideologia maggioritaria si trova in minoranza, sia che si tratti di persone, di popoli o di stati.

Aspetto centrale di questa ideologia maggioritaria è la ricerca dell’uniformità: qualsiasi minoranza corre il rischio di non poter continuare a vivere in quanto tale. Infatti uniformità significa semplificazione, anche a livello di schemi mentali, e ciò può aprire la strada a nuovi pregiudizi e discriminazioni.

Oggi emergono movimenti etno-nazionali che perseguono l’obiettivo della preservazione e dell’affermazione dell’identità, intesa come elemento di critica e di proposta per un possibile sviluppo che non si riferisca unicamente a parametri economici e di mercato. Tale prospettiva crea un’oggettiva convergenza di questi movimenti con altri movimenti della società civile impegnati sul tema della difesa dei “diversi” e della qualità della vita (movimenti per i diritti dei portatori di handicap, delle donne, ecologisti, ecc.).

Ma la strategia talora scelta dai movimenti etnici è quella di perseguire la realizzazione di stati nazionali con confini netti dal punto di vista etnico. Ovvero si ritiene che per vivere bene e affermare il proprio protagonismo storico e la propria libertà e democrazia ci sia bisogno di vivere sul territorio in cui ci si trova costruendo qui una condizione di omogeneità etnica, possibilmente dotata di sovranità (Stato).

Dal punto di vista sociale questa strategia conduce all’esclusivismo etnico che, nelle sue forme estreme, impone l’inclusione o l’esclusione dei “diversi”.

Caratteri dell’esclusivismo etnico

La sociologia ha messo in luce lo stretto rapporto esistente tra pregiudizi e atteggiamento verso le minoranze. I pregiudizi sociali sono giudizi non verificati sulla base dell’esperienza e relativi a determinate categorie di persone che non si conoscono direttamente.

I comportamenti dettati dai pregiudizi combinano tre diversi atteggiamenti:

  1. tendenza a pensare per stereotipi;
  2. ostilità verso il gruppo degli altri;
  3. ammirazione potenza rappresentata dal gruppo del “noi”.

Le forme di discriminazione delle minoranze e di razzismo rappresentano il riflesso istituzionalizzato dei pregiudizi individuali, Così una pura costruzione ideologica può riuscire a mobilitare per un’azione politica masse fortemente orientate secondo il prestigio e prive di solidarietà, creando consenso verso un’élite in lotta per conquistare il potere dello Stato.

Nella dimensione dell’uomo convergono anche sentimenti, riti, miti, simboli, l’inconscio. La storia e le diverse mitologie etniche possono essere strumentalizzate al fine di propagandare una pretesa superiorità etnica.

Alcune proposte generali

La questione delle “minoranze etniche” va posta all’interno di una riflessione sul tema della “diversità” e dell’educare alla diversità.

Come prima cosa dobbiamo essere consapevoli della connotazione negativa che la nostra cultura attribuisce al tema della diversità. Questa è la radice dei diffusi atteggiamenti di difesa e rifiuto nei confronti dei “diversi”.

Origine sociale di questa valutazione negativa della diversità nella nostra cultura è la natura omologante, eteronoma, gerarchica della società occidentale.

Per superare questa situazione è necessario lavorare per una società aperta. Ovvero si tratta di costruire, a livello culturale, il valore diversità e di operare, a livello socio-politico, per sviluppare il pluralismo (etnico, religioso, sociale, linguistico, …), attuare parità di diritti e di opportunità (riconosciuti da precise garanzie istituzionali), stimolare la partecipazione democratica.

A livello ecologico – hanno evidenziato le ONG in occasione della conferenza di Rio sull’ambiente – la conservazione della biodiversità è essenziale per aumentare le possibilità per le comunità di mantenere le proprie culture e la qualità della vita, nonché di perseguire lo sviluppo culturale, economico, sociale e spirituale.

Contro l’esclusivismo etnico è importante valorizzare la dimensione territoriale: il comune vincolo che unisce le persone conviventi su uno stesso territorio, costituisce un legame con esso e tra le generazioni che vi si susseguono. Qui confluiscono positivamente importanti aspetti ecologici, sociali, economici e culturali. Dal lato istituzionale, alla valorizzazione della dimensione territoriale corrisponde meglio una concezione federalista piuttosto che lo stato-nazione.

Alternativa alla disgregazione nazionalistica è la realizzazione di “regioni europee” o Euroregioni che superino le attuali frontiere statuali europee. Si tratta di rendere i confini sempre meno incisivi, riprendendo e allargando antichi rapporti di comunanza storica, culturale, linguistica ed economica, amputati spesso dalla logica di potenza degli stati nazionali e dei totalitarismi ideologico-politici. La crescita di nuovi tessuti regionali deve avvenire nella cornice di un’Europa unita (e allargata ad Est), federalista, solidale verso il resto del mondo e in particolare con il Sud.

Roberto Albanese

http://www.greenman.it

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