Catastrofi idrogeologiche e sviluppo sostenibile: il caso delle valli prealpine della Lessinia orientale

Percorso relativo all’ambiente della Lessinia ma anche alla storia e le ragioni di quello risulta essere l’insediamento di popolazioni di lingua tedesca dell’arco alpino (i c.d. “cimbri”) che si è collocato più a sud. Il filo rosso della scheda risulta essere quello del dissesto idrogeologico, interpretato nella prospettiva dello sviluppo sostenibile e della specificità storico / culturale di questo nostro “territorio laboratorio”.

di Roberto Albanese

Indice

1. INTRODUZIONE

2. PREMESSE GEOGRAFICHE E STORICHE SULLA LESSINIA E SUI “CIMBRI”

3. SCHEDA: LA LESSINIA

4. ASPETTI DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO IN VAL D’ILLASI E A GIAZZA (VR)

5. LE ALLUVIONI STORICAMENTE DOCUMENTATE (CRONOLOGIA)

6. TESTIMONIANZE SULLE ALLUVIONI DEL PROGNO IN:
BASSA VALLE D’ILLASI
ALTA VALLE DEL TORRENTE PROGNO

7. GLI INTERVENTI POSTI IN ATTO CONTRO IL DISSESTO E LE ALLUVIONI E PER IL RECUPERO AMBIENTALE DELLA VAL D’ILLASI

8. ECONOMIA LOCALE, CULTURA MATERIALE E CORRETTA GESTIONE DELLE RISORSE NATURALI DELLA VALLE

9. CULTURA TRADIZIONALE E L’IMMAGINARIO DELLA CATASTROFE:

CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO E IMMAGINARIO POPOLARE DEI “CIMBRI”
RELIGIOSITA’ POPOLARE TRA ALLUVIONI E RICHIAMI INTERCULTURALI: I SANTI PROTETTORI. LA PRESENZA DELL’IMMAGINE DI S.GIOVANNI NEPOMUCENO IN VAL D’ILLASI E IN VAL D’ALPONE

10. BIBLIOGRAFIA

11. NOTE

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1. Introduzione

Le informazioni e le considerazioni qui riportate intendono rappresentare una premessa alla realizzazione di itinerari sul campo in uno specifico territorio, quale la Lessinia, che per le sue caratteristiche ambientali e storiche si presta ad essere un laboratorio di educazione ambientale e anche, nel nostro caso (almeno per alcuni aspetti), di educazione interculturale.

Infatti nella zona specifica della Lessinia che è stata da noi prescelta rientra il territorio che più emblematicamente è legato alle vicende del gruppo etnico di lingua tedesca che si è collocato più a sud su tutto l’arco alpino: i c.d. “Cimbri”.

Pensiamo che questa zona rappresenti un contesto per molti aspetti ideale al fine:

di una lettura dei temi ambientali, come quello da noi prescelto del dissesto idrogeologico e della sua prevenzione, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile di un territorio e della comunità locale;

della sperimentare una metodologia di lavoro in chiave di animazione, dove ecologia pratica e ricerca culturale ed espressivo / comunicativa sull’immaginario popolare (che risulta essere con evidenza il risultato dell’incontro di diverse culture etniche) si possano legare in un unico continuum.

2. Premesse geografiche e storiche sulla Lessinia e i “Cimbri”

La Lessinia è un’area geografica che si colloca nella fascia prealpina, con i punti più elevati che arrivano a raggiungere un’altezza massima di 1876 metri con il Monte Torrazzo. Ha la caratteristica di un altopiano solcato da cinque valli (Valpolicella, Valpantena, Val di Squaranto, Val d’Illasi e Val d’Alpone) ed esteso circa 800 kmq che è delimitato ad ovest dalla valle dell’Adige, a nord dalla valle dei Ronchi, ad est dalla valle del Chiampo e a sud dalla pianura padana veronese.

La conformazione geologica della zona vede il prevalere di rocce sedimentarie e rocce vulcaniche. La gran parte dell’altopiano della media Lessinia, vede la diffusa presenza di svariati fenomeni carsici e di erosione, con una morfologia caratterizzata dal susseguirsi di pendii, pareti, gradoni, voragini.

Il clima della zona, grazie alla presenza a nord est del gruppo del Carega (2259 m) difende la regione dai venti freddi del nord e all’esposizione a sud dell’altipiano, è mite e temperato il clima della zona. Le precipitazioni sono scarse tra gli 800 e i 1000 metri, per crescere con l’aumentare dell’altitudine. Le piogge più intense si hanno in primavera e in autunno.

La vegetazione presenta caratteri che la definiscono come intermedia tra un ambiente sub-mediterraneo ed uno medio-europeo.

Il territorio qui considerato, e che riguarda la Val di Illasi e solo marginalmente la valle del torrente Alpone, comprende quindi le due valli orientali estreme della Lessinia.

E’ storicamente documentata la presenza proprio nella Lessinia orientale di un gruppo etnico germanico che venne denominato “Cimbri”. Questo, tra il 1286-87, ottiene dal Vescovo di Verona l’autorizzazione allo sfruttamento della zona a scopi forestali e di pastorizia. E’ comunque probabile che questo nucleo si sovrappose ad una preesistente presenza di popolazioni di origine longobarda.

Queste popolazioni dei c.d. “Tredici Comuni” mantennero viva la loro identità grazie ad una serie di “privilegi” economici e culturali garantiti dalla Repubblica di Venezia in cambio della vigilanza militare dei Cimbri sui valichi verso il Brennero.

Crisi economica e ambientale per sovrasfruttamento della montagna, perdita dell’autonomia in ragione del centralismo napoleonico e poi italiano, portarono nel XIX secolo i “Cimbri” all’emigrazione e all’assimilazione nel gruppo etnico italiano.

Oggi quindi non è più possibile parlare della presenza in Lessinia di una minoranza etnica cimbra ma piuttosto della parziale sopravvivenza – per merito di persone e associazioni locali – di retaggio linguistico e di aspetti delle tradizioni culturali cimbre (da non molto tempo raccolte e conservate in un “Museo dei Cimbri” a Giazza e, ancora prima, dal centro di documentazione “Taucias Gareida” a Verona).

3. Scheda: la Lessinia

La Lessinia si configura come un altipiano – solcato da cinque valli – che degrada verso la pianura Padana. Essa è delimitata a nord dalla Valle dei Ronchi, a sud dalla pianura Padana, a ovest dal fiume Adige e ad est dal fiume Chiampo. Le sue alture ad Ovest rientrano nelle Prealpi Venete, con cime tra i i 1.500 e 1.800 m, e il gruppo del Carega a Nord-Est (che supera i 2.200 m). La fascia centrale si attesta invece tra i 1.000 e i 1.300 m.

Il territorio rientra soprattutto nei confini della provincia di Verona e in parte minore in quelli delle province di Vicenza e di Trento.

Dal punto di vista geologico, il territorio si caratterizza per la presenza di rocce sedimentarie e rocce vulcaniche. Acqua, giacchio e vento hanno nel tempo dato origine ad una consistente erosione, che si manifesta anche in svariati fenomeni carsici (con doline, grotte, voragini …) e varia modellazione delle rocce.

Il clima e mite e temperato, perchè la zona è riparata dai venti del Nord grazie alle cime settentrionali. Le zone inferiori godono poi di un clima relativamente asciutto. La dolcezza del clima ha consentito la coltivazione di alberi da frutta, e vegetazione spontanea di lecci, frassini, roverella … Tra i 500 e i 900 m compaiono castagneti e querceti, mentre più in alto c’è la faggeta, accompagnata da abete rosso, larice, betulla. Dai 1.600 m iniziano i pascoli.

L’intenso utilizzo da parte dell’uomo e la caccia hanno ridotto di molto la consistenza del patrimonio animale.

La zona (abitata fin dal Paleolitico) infatti è stata oggetto di un consistente sfruttamento, inizialmente di tipo unicamente forestale (per il legname e il carbone) e poi anche per ricavare pietra da costruzione.

Tale fenomeno, storicamente, si è connesso all’insediamento di una colonia bavaro/tirolese, iniziato nel XIII secolo. Il fenomeno si intensificò nel 1700, ad opera di mercanti veronesi.

L’insediamento di queste popolazioni di origine germanica interessò in particolare le zone più alte dell’altopiano (i c.d. Tredici Comuni), non abitate dalla popolazione autoctona, che si concentrava nelle parti basse, dove era arrivata la colonizzazione romana.

Questi Comuni detti Cimbri godettero per secoli di una certa autonomia, concessa in ragione della povertà delle popolazioni e del servizio militare di controllo dei passi che questi svolgevano.

Della cultura, della lingua e delle tradizioni di quei popoli germaniche restano oggi ancora alcune tracce e qualche elemento di vitalità.

La natura e la cultura delle popolazioni insediate in questo territorio, il modo di vivere e di lavorare hanno plasmato col trascorrere dei secoli un paesaggio molto particolare, che oggi si tenta di preservare e valorizzare grazie all’istituzione del parco regionale dei Monti Lessini.

4. Aspetti del dissesto idrogeologico in val d’Illasi e a Giazza (VR)

Il dissesto idrogeologico della zona considerata deriva dallo sfruttamento intensivo (per ricavare legna e carbone di legna, pascoli e campi coltivati) che portò nei secoli a denudare anche terreni particolarmente fragili che, dilavati dalle acque meteoriche, precipitano a valle con le acque di piena primaverili e autunnali.

Il fenomeno del dissesto idrogeologico della zona fu studiato fin dall’ ‘800. Un’analisi molto precisa e corretta è elaborata da Francesco Cracco nel 1876 e posta a premessa di un suo progetto operativo di massima per “l’imboscamento delle sponde del torrente Progno”.

Riportiamo le considerazioni dell’autore.

“Tre erte montagne, che si elevano quasi minacciose al di sopra della contrada di Giazza, racchiudono due torrenti, denominati di Revolto quello a ponente-settentrione, di Fariselle l’altro a settentrione-levante, i quali congiungendosi immediatamente al di sotto del paese, danno origine al Progno, quivi avente una larghezza non maggiore di metri dieci circa, e che occupa la totale larghezza della valle, lambendo così le falde delle vicine montagne. Nel Vajo Fariselle scorre un rigagnolo d’acqua perenne che serve per animare due molini da grano esistenti nel paesello di Giazza; esso vajo non trasporta gran quantità di materia, perché scorre sempre su di una roccia calcare dura e compatta.

Nel Vajo Rivolto, al contrario, non vi è perennemente acqua, ma nelle piene cagionate da piogge trasporta una quantità considerevole di materia ghiaiosa, dipendente dallo sfaldamento dei monti sovrastanti per effetto di corrosione ed in specialità della montagna detta delle Mollezze, di proprietà del Comune di Ala, costituita totalmente di sabbia e minutissima ghiaia”

(…)

“Quando le piogge cadono in poca quantità e sopra di una superficie non molto estesa delle nostre montagne, il torrente Progno si limita ad una corsa di poca importanza e non discende oltre Selva di Progno o Badia Calavena, disperdendosi le acque in questo tratto nella ghiaia che costituisce il letto del torrente: in tali casi i danni, se pur ne avvengono, sono limitati e di poca entità. Ma ben altrimenti succede nelle dirotte piogge primaverili ed autunnali, quando sciolgansi le nevi delle montagne sovrapposte, e quando le piogge cadono frequenti e sopra di una estesa superficie. In allora il torrente Progno, animato dai due primitivi confluenti Rivolto e Fariselle ed alimentato dai continui vagi discendenti dai monti lungo la valle, prende un aspetto minaccioso, trasporta grandissima copia di materiale, produce delle fortissime corrosioni negli altri fondi laterali e con velocità assai risentita discende a Tregnago molte volte tanto gonfio da travolgere nella corrente lunghi tratti di campagne ben coltivate. Appena oltrepassa il territorio di Tregnago, risentendo la corrente l’influenza della sottostante pianura, incomincia a perdere della primitiva velocità e a depositare quel materiale che trasportava prima con siffatto impeto.

E tanto ne ha depositato negli anni scorsi e ne deposita attualmente, che per lungo tratto del comune di Illasi il letto del torrente riesce di alcuni metri più alto dei fondi laterali”. (1)

5. Le alluvioni in val d’Illasi storicamente documentate (cronologia)

Il fenomeno del dissesto idrogeologico in questa zona della Lessinia ha origini antiche. Le fonti storiche a noi disponibili documentano, almeno fin dalla fine del XVII secolo, il verificarsi di disastrose alluvioni e fenomeni franosi, che sembrano raggiungere la punta estrema nel 1882.

1685 – Il Progno rompe gli argini e danneggia case e campi nella zona di Illasi. Inondazioni si ripetono con frequenza anche negli anni successivi (2).

1818 / 1819 – Si sarebbero verificate alluvioni e frane disastrose, che in Val d’Illasi cancellano intere frazioni, distruggono mulini, … (3)

1824 – Dura quindici giorni e arreca danni molto gravi nella media Val d’Illasi, ricoprendo di ghiaia i campi coltivati (4).

1882 – una catastrofica alluvione colpisce Verona e le valli prealpine della provincia, tra cui la Val d’Illasi. Gravissimi danni, ad esempio, a Badia Calavena (5).

6. Testimonianze sulle alluvioni del Progno

Riportiamo qui due documentazioni, relative ad un nucleo abitato della parte medio-bassa della valle attraversata dal torrente Progno (Cellore) e ad un centro all’alta valle di Illasi (Giazza).

BASSA VALLE D’ILLASI

Lo storico locale, Pierluigi Zorzi, in una sua ricerca sulle vicende di Cellore, piccolo ma ricco di interessanti presenze storico / artistiche, così rappresenta i problemi che il dissesto idrogeologico produceva nella parte medio-bassa della Valle d’Illasi tra il 1600 e il 1700.

“Anche il Progno era diventato un problema, poiché già nel 1685 durante piogge torrenziali aveva rotto gli argini danneggiando case e colture. I Pompei (nobili del posto NdR), allora, volevano formare un consorzio tra i Comuni della vallata che provvedesse a fare opere di contenimento delle acque, opere utili ma assai costose. Facendo appello alla scarsità di mezzi Cellore si oppose, anche perché le sue terre non erano minacciate dal Progno, ed allora gli illasiani offesero pesantemente i nostri compaesani. La disputa si protrasse fino a quando, nel 1691, Cellore si impegnò a riparare gli argini del torrente.

Nel libro di Francesco Vecchiato “I Pompei di Illasi” è riportato un documento che recita: “Il 3 settembre 1691, quelli di Cellore presentarono una scrittura con la quale s’esibirono lavorare alle loro ripe e tenir incassato il Progno dal primo termine del Comune di Celore confinante con Tregnago sino al Penello de i Lasi”.

Le inondazioni furono molto frequenti e se ne imputò la colpa a quelli di Tregnago e Cellore, perché effettuavano disboscamenti delle colline per adibirle a coltura. Nell’Agosto del 1743 i Comuni di Cazzano e di Illasi approvarono una protesta che venne inviata al Comune di Verona perché facesse cessare gli “sverghi” (disboscamenti).

A Cazzano si diceva, esagerando, che le acque alluvionali avevano inondato l’altar maggiore della chiesa.

Quindi la Repubblica di Venezia inviò a Cellore e a Tregnago un proclama che vietava ogni tipo di disboscamento. Era l’anno 1744 ed il sindaco di Illasi era Marco Antonio Panardo”. (6)

ALTA VALLE DEL TORRENTE PROGNO

Inondazioni e frane, storicamente, hanno più volte interessato il territorio di Giazza – la valle ma anche lo stesso paese – cancellando anche intere frazioni e provocando la conseguente emigrazione degli abitanti. Ad esempio, l’alluvione del 1882 distrugge alcune abitazioni del centro del paese e ben tre contrade: la contrada Perlati (Parlatan), la contrada Boasi (Boasan) e la contrada Rami (Raman), ovvero la “casa del sarto Rama”, che ancora oggi è sepolta. Queste sono tutte località del fondovalle poco distanti dal paese di Giazza, dove la gente esercitava soprattutto l’attività di mugnaio.

L’evento fu ancor più catastrofico a fondovalle in quanto all’enorme volume di acqua e materiali trasportato dai corsi d’acqua si aggiunse anche un’altra consistente massa derivante dalla tracimazione di un invaso naturale formatosi in località le Gozze, a nord-ovest nel territorio di Roveré Veronese.

Gli abitanti si salvarono grazie alla solidarietà dei concittadini, che con lunghe scale riuscirono a scampare alla violenza degli elementi naturali. Tutti dovettero trovare nuove sistemazioni abitative

La gente dei Perlati “trasferirono la loro residenza al Rifus (rifugio) dei Parlattori, dove edificarono altre case” (7).

7. Gli interventi posti in atto contro il dissesto e le alluvioni e per il recupero ambientale della val d’Illasi

Arginature e muretti a secco erano le opere tradizionalmente utilizzate in Lessinia al fine di dare stabilità ai pendii disboscati, rallentare il deflusso delle acque e – nel caso dei muretti – al tempo stesso ricavare terreno per la coltivazioni (orti e prima ancora cereali).

Dopo la catastrofica alluvione del 1882, e anche grazie al fatto che poco per volta lo stato unitario si dota di strumenti legislativi adeguati, vengono effettuati interventi a fondovalle e soprattutto in alta valle d’Illasi, finalizzati a consolidare i versanti attraverso il rimboschimento e la realizzazione di grandi e piccole opere idraulico-forestali (in particolare briglie), che soprattutto interessarono la valle del torrente Revolto.

Per fare ciò si decide anche di comperare terreni da privati e, per una superficie consistente, anche dal Comune di Ala, che allora rientrava nei confini dell’Impero Austro-Ungarico.

In questo modo rinasce la foresta di Giazza, che viene inaugurata nel 1911, alla presenza delle maggiori autorità nazionali. Altri interventi continueranno in seguito, finché la Foresta di Giazza – oggi appartenente al demanio regionale, arriverà ai 1.876 ha attuali, che ricadono nelle province di Verona, Trento e Vicenza. Nella foresta troviamo faggi associati a carpini bianchi, aceri montani, frassini, sorbi, abete bianco e abete rosso, larice. Più in alto troviamo il pino mugo. Oggi sono consentiti solo tagli di conversione.

Con la nuova foresta è stata anche messa al bando la caccia e quindi, anche attraverso il ripopolamento, si è ricostituita una ricca popolazione animale. Oggi, tra la fauna presente, troviamo il capriolo, la volpe, la faina, il tasso, la marmotta, il camoscio e, a livello di avifauna, troviamo tutti gli uccelli di piccola taglia e, recentemente, si è visto nidificare anche l’aquila.

Negli ultimi anni, si è provveduto alla realizzazione di briglie anche a livello della parte medio – bassa della valle e a realizzare interventi di consolidamento di frane attuate con la tecnica dell’ingegneria naturalistica (8).

8. Economia locale, cultura materiale e corretta gestione delle risorse naturali della valle

Oltre ad agricoltura ed allevamento, le acque ed il bosco trovarono ampio utilizzo a fine energetico (documentata fin dal ‘400), per la produzione del carbone di legna da vendere in città e per far funzionare macchine utensili (segherie, magli …), mulini ed anche una piccola centrale idroelettrica.

Questo tipo di economia locale – ormai scomparsa ma di cui si hanno ancora tracce a livello di reperti di cultura materiale – comportava una attività lavorativa continuativa strettamente dipendente sia dal mantenimento del patrimonio delle risorse ambientali locali come da una loro attenta gestione.

Anche i lavori attivati dallo Stato per realizzare tra la fine dell’ ‘800 l’inizio del ‘900 la nuova Foresta di Giazza rappresentarono una notevole valvola di sfogo per l’occupazione delle popolazioni locali.

L’economia locale di oggi a Giazza è invece soprattutto legata al turismo, con tutte le potenzialità ed i problemi connessi.

A Giazza è documentata fin dal ‘400 la presenza un uso delle acque a fini energetici dalle molteplici caratterizzazioni: mulini, magli, segherie e anche una piccola centrale elettrica hanno funzionato fino agli anni ’50 alimentati dall’energia idraulica. (9).

Nel territorio è documentata la presenza di altre attività, come la produzione della calce per costruzioni e il carbone di legna, come si può notare già all’imbocco della Val Fraselle.

Uno degli aspetti molto importanti della gestione territoriale della montagna era dato dalla manutenzione dei muretti a secco. La tecnica del muretto a secco era del resto utilizzata anche per creare argini lungo i torrenti. Per consolidare pendii franosi si ricorreva anche a palificazioni e graticci in legno.

In Lessinia, sui pendii più scoscesi, le popolazioni procedevano periodicamente – circa ogni 3 / 4 anni – a raccogliere la terra dilavata dalle piogge e a riportarla sui gradoni dei terrazzamenti; al tempo stesso, a seconda delle necessità, si sistemavano le pietre smosse dei muretti e si ricollocavano i massi che si fossero distaccati.

Per fare questo si utilizzavano utensili di lavoro e mezzi di trasporto realizzati in proprio o dagli artigiani della zona; il materiale principale era il legno dei boschi del luogo (10).

Per il trasporto della terra si usa la gerla, la barella e la carriola (di cui esistevano tipi diversi; ricordiamo quella chiamata orco, utilizzata principalmente per il trasporto di pietre e macigni).

Quanto oggi si inizia a fare anche in Lessinia a livello di ingegneria naturalistica rappresenta quindi non solo una tecnica appropriata a livello di “ecologia pratica” ma anche un modo creativo e intelligente per recuperare le modalità tradizionali da sempre usate in questa zona per la manutenzione e gestione del territorio.

9. Cultura tradizionale e immaginario della catastrofe

10. Bibliografia

ARTURO GARANTI, I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi, ristampa, Edizioni Taucias Gareida, Giazza – Verona, 1984.

ANGELO BORGHETTI, Antichi privilegi e correlativi oneri inerenti alle montagne del carbon nei Lessini, ristampa, Edizioni Taucias Gareida, Verona – Giazza, 1984.

PIERLUIGI ZORZI, Cellore d’Illasi. Documenti e storia fino al 1800. Edizioni Taucias Gareida; Giazza – Verona, 1991

GIUSEPPE RAMA, Val Fraselle. Natura, toponomastica, folklore. CIERRE edizioni, Verona, 1992

CTS LESSINIA, Lessinia Scuola. Schede, Grafiche P2, II edizione, 1996.

ROBERTO CHIEJ GAMACCHIO, Dieci itinerari in Lessinia, Demetra, Bussolengo (VR), 1996.

Lietzan – Giazza, Cimbri – Tzimbar, Vita e cultura delle comunità cimbre. Rivista semestrale del Curatorium Cimbricum Veronese. Anno XI – Numero 21; gennaio – giugno 1999. Numero speciale per il 25° di fondazione del Curatorium Cimbricum Veronese. Edizioni Curatorium Cimbricum Veronese

CARLO NORDERA (a cura di), Giazza – Ljetza ieri e oggi. Edizioni Taucias Gareida; Giazza – Verona, 1999

11. Note

(1) – Citato da VITTORE FORADORI, La foresta demaniale dalle origini ai giorni nostri, in Lietzan – Giazza, Cimbri – Tzimbar, Vita e cultura delle comunità cimbre. Rivista semestrale del Curatorium Cimbricum Veronese. Anno XI – Numero 21; gennaio – giugno 1999. Numero speciale per il 25° di fondazione del Curatorium Cimbricum Veronese. Edizioni Curatorium Cimbricum Veronese; p.41.

(2) Evento riportato in PIERLUIGI ZORZI, Cellore d’Illasi. Documenti e storia fino al 1800. Edizioni Taucias Gareida; Giazza – Verona, 1991; p.113.

(3) – L’evento è riferito in MARZIO MILIANI, La Giazza, in Lietzan – Giazza, Cimbri – Tzimbar, Vita e cultura delle comunità cimbre. Rivista semestrale del Curatorium Cimbricum Veronese. Anno XI – Numero 21; gennaio – giugno 1999. Numero speciale per il 25° di fondazione del Curatorium Cimbricum Veronese. Edizioni Curatorium Cimbricum Veronese; pp.66-67. Altre ricerche sugli archivi parrocchiali di Giazza porterebbero invece a collocare la datazione dei fatti all’alluvione del 1882.

(4) – Citato da VITTORE FORADORI, La foresta demaniale dalle origini ai giorni nostri, in Lietzan – Giazza, Cimbri – Tzimbar, Vita e cultura delle comunità cimbre. Rivista semestrale del Curatorium Cimbricum Veronese. Anno XI – Numero 21; gennaio – giugno 1999. Numero speciale per il 25° di fondazione del Curatorium Cimbricum Veronese. Edizioni Curatorium Cimbricum Veronese; p.42.

(5) – Questo fatto è il maggiormente documentato, anche perché riguardò la città di Verona, che subì pesanti distruzioni e, per i successivi interventi di arginatura costruiti, poté godere di relative condizioni di sicurezza, alzando però barriere che separarono la città dal suo fiume.

(6) PIERLUIGI ZORZI, Cellore d’Illasi. Documenti e storia fino al 1800. Edizioni Taucias Gareida; Giazza – Verona, 1991; pp.113-114.

(7) CARLO NORDERA (a cura di), Giazza – Ljetza ieri e oggi. Edizioni Taucias Gareida; Giazza – Verona, 1999, p.133.

Vedi anche, tenendo in considerazione quella che comunque risulta l’ampia imprecisione della ricostruzione, MARZIO MILIANI, La Giazza, in Lietzan – Giazza, Cimbri – Tzimbar, Vita e cultura delle comunità cimbre. Rivista semestrale del Curatorium Cimbricum Veronese. Anno XI – Numero 21; gennaio – giugno 1999. Numero speciale per il 25° di fondazione del Curatorium Cimbricum Veronese. Edizioni Curatorium Cimbricum Veronese; pp.66-67.

“Le alluvioni e le conseguenti frane hanno cancellato le contrade e costretto gli uomini a spostarsi in zone più sicure. Così è stato per esempio per la contrada Sichilj, distrutta da una valanga nel 1681, oppure per la contrada Rami, Raman, o ancora per quella dei Parlati, Parlatan, dove l’acqua, dopo aver portato un minimo di benessere alimentando un mulino, nel 1818 ruppe improvvisamente gli argini a seguito dello straripamento dell’invaso delle Gozze, a nord-ovest nel territorio di Roveré Veronese, e dopo aver percorsa con violenza la Valle del Nouc in prossimità del Progno distrusse la contrada.”

(…)

“Molte contrade si sono modificate a causa dei continui straripamenti, come l’antica contrada Rifuc (dal nome di un frutto di bosco di cui era piena la zona), in seguito denominata Parlatoni, Parlatun, nella quale si rifugiarono gli abitanti della contrada Parlatan dopo le alluvioni del 1818-19.”

(8) VITTORIO ZAMBALDO, Chi tiene su le nostre montagne, L’Arena, 14 marzo 1998.

(9) MARZIO MILIANI, La Giazza, in Lietzan – Giazza, Cimbri – Tzimbar, Vita e cultura delle comunità cimbre. Rivista semestrale del Curatorium Cimbricum Veronese. Anno XI – Numero 21; gennaio – giugno 1999. Numero speciale per il 25° di fondazione del Curatorium Cimbricum Veronese. Edizioni Curatorium Cimbricum Veronese; pp.79-80.

(10) BRUNO AVESANI – FERNANDO ZANINI, Mezzi di trasporto costruiti dai contadini, in La Lessinia ieri – oggi – domani, Quaderno culturale, 1984, Nr. 1 – 2, pp.

Roberto Albanese

http://www.greenman.it

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